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I naufraghi | 217 |
— Ma voi siete ferito, signore. Vedo delle gocce di sangue sui vostri calzoni.
— Ho una contusione sopra il ginocchio destro, ma è nulla, amico mio. Credevo di aver riportato delle ferite ben più gravi. —
Appoggiandosi alle braccia del genovese e di Marino, si alzò e guardò verso l’est.
Ad una distanza di venticinque e forse trenta miglia, si scorgeva l’alta montagna dell’isola spiccare nettamente sul fondo luminoso del cielo, ma le coste non erano visibili. Una fila di frangenti, staccandosi dallo scoglio, si estendevano in quella direzione, ma gli scoglietti, tutti di origine corallifera, non erano uniti, anzi pareva che ad una certa distanza, mancassero totalmente. Forse più oltre esistevano quei banchi che avevano impedito alla scialuppa di passare, ma essendo il mare ancora assai agitato, non si potevano scorgere.
— La cosa è grave, — ripetè il signor Albani, che era diventato pensieroso. — Come attraverseremo noi queste venticinque o trenta miglia, ora che abbiamo perduto la scialuppa?... Che siamo destinati a rimanere prigionieri su quest’isolotto?...
— Voi riuscirete a trarvi d’impiccio, signore, — disse Enrico. — Voi sapete tanto che potete trarre utilità da tutto.
— Ma quest’isolotto mi sembra un arido scoglio privo di tutto, Enrico.
— Non lo abbiamo ancora visitato, signore.
— Aiutatemi a salire quella rupe. Di lassù potremo meglio vedere se la linea dei frangenti si estende fino alla nostra isola e accertarci delle risorse che potrebbe offrire questo scoglio. —
I due marinai passarono le loro braccia sotto le ascelle del veneziano e sorreggendolo lo condussero sulla cima dell’isolotto, il quale alzavasi una cinquantina di metri sul livello del mare.
Di lassù potevano dominare tutto il mare all’intorno, distinguere, un po’ confusamente però, le alte sponde della