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60 | Capitolo trentunesimo |
Capitolo XXXI
Sullo scoglio
L’uragano imperversò tutta la notte senza un istante di tregua. Il mare, furiosamente aizzato dal ventaccio impetuoso di ponente, flagellò senza posa lo scoglio con tremendi muggiti, irrompendo con crescente impeto entro le spaccature e le caverne marine, smuovendo dei massi del peso di parecchi quintali e lanciando i suoi spruzzi fino sotto la rupe dove si trovavano rannicchiati i tre naufraghi.
Anche la pioggia continuò a cadere, scrosciando sopra le cime dell’isolotto e scendendo attraverso le balze in torrentacci impetuosi.
Verso l’alba però, le nubi che si erano accumulate in cielo si ruppero sotto un vigoroso vento del settentrione e l’acquazzone cessò quasi istantaneamente.
Poco dopo il sole fece capolino da uno squarcio in quelle masse di vapori, fugando bruscamente le tenebre e illuminando il mare ancora tempestoso. L’isola apparve subito verso l’est, ma ad una distanza tale che i naufraghi si guardarono in viso sbigottiti.
— Ma è la nostra isola o un’altra? — si chiese il genovese. — È impossibile che ci siamo allontanati tanto!
— Non ne scorgo altre, — disse Marino. — E poi la nostra deve trovarsi in quella direzione.
— È molto lontana? — chiese Albani, il quale, trovandosi ancora coricato, non riusciva a scorgerla bene.
— Almeno venticinque miglia, signore, — rispose Enrico.
— Tanta via abbiamo dunque percorso ieri sera, per trovare un passaggio tra i frangenti?... Ciò è grave, amici miei. Aiutatemi ad alzarmi.
— No, signore, rimanete coricato; siete ancora assai debole.
— Mi sento meglio, Enrico.