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I naufraghi 215

— Gran Dio!

— Rassicurati, Enrico, non sono rotte, — disse Albani, sforzandosi di sorridere. — E la scialuppa?

— Perduta, signore; ma lasciamo che il mare se la porti e occupiamoci di voi. Cosa dobbiamo fare?

— Vorresti chiamare un medico, forse?...

— Scherzate! Ammirabile uomo!

— Lasciami riposare qui e per ora non chiedo di più.

— Ma voi soffrite!

— Bah!... Tutto passerà, Enrico. Domani mattina vedremo se si è guastata qualche molla della mia macchina, ma spero che tutto sia intatto. Sono scombussolato e ben pesto, ecco tutto.

— Ma era molto tempo che vi trovavate nella caverna?

— Un paio d’ore di certo, se non di più.

— Vi hanno spinto le onde?

— Non lo saprei. Quando fui gettato sui frangenti, ricevetti tale urto da smarrire i sensi o poco meno. Che cosa sia poi accaduto, io non lo so; quando ritornai in me mi trovai in fondo alla caverna che le onde invadevano, minacciando di affogarmi. Facendo uno sforzo disperato mi trascinai fino all’estremità dell’antro, e là svenni una seconda volta.

— Non avete udito le nostre grida, signore? — chiese Marino.

— Era impossibile udirle, poichè le onde che invadevano la caverna producevano dei fragori assordanti.

— Vi avevo creduto morto, signore, — disse Enrico. — Quale disgrazia per noi, se voi foste mancato!

— Avreste ormai potuto fare anche senza di me.

— No, signore. Senza di voi la nostra isola non avrebbe avuto più alcuna attrattiva.

— Bravo giovane, — mormorò il signor Albani, commosso. — Quanta affezione in questi uomini di mare! —