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214 Capitolo trentesimo

Attesero che le onde spinte innanzi dal vento si rompessero, poi si cacciarono arditamente entro quella oscura galleria, dove l’acqua muggiva e rimuggiva infrangendosi contro le pareti.

— Signor Albani! — gridò Enrico. — Siete qui?

— Aiuto, Enrico, — articolò una voce fioca.

Il marinaio, sospinto da una nuova onda che si rovesciava entro la caverna con mille fragori, si lasciò trascinare innanzi e andò a cadere contro un corpo che non aveva la consistenza della roccia, e che pareva si tenesse coricato in fondo all’antro marino.

Rammentandosi, in quel momento, dell’orribile cefalopodo che lo aveva assalito nella caverna dell’isola, balzò in piedi per fuggire, ma un gemito lo trattenne.

— Ma siete voi, signor Albani? — gridò.

— Aiutatemi, Enrico, — disse il veneziano. — Le onde mi affogano.

— Mille terremoti!... Voi, signore! Siete ferito forse? — chiese precipitandosi verso il disgraziato compagno.

— Sì, Enrico... portami via di qui. —

Il marinaio si curvò cercandolo a tastoni, e trovatolo, lo afferrò fra le robuste braccia, serrandoselo contro il petto. Marino veniva in suo aiuto.

Attesero che l’onda si ritirasse, poi abbandonarono precipitosamente la caverna, correndo lungo la spiaggia per non venire trascinati fra i frangenti.

Giunti sotto la sporgenza della rupe che poco prima avevano scoperta, si arrestarono, coricando il signor Albani nel luogo meno esposto alla pioggia e al vento.

— Grazie, amici, — balbettò egli con voce fioca.

— Ditemi, signore, dove siete ferito? — chiese il marinaio, reggendogli il capo.

— Sono tutto contuso e ammaccato, ma spero che non sia cosa grave. Mi pare di avere le costole spezzate, tanto violento è stato il colpo ricevuto dall’onda che mi ha scagliato contro i frangenti.