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I naufraghi 213

vevano essere cadute dall’alto e da frane, i due marinai, che non avevano alcun lume, non potevano procedere speditamente per non cadere nell’abisso aperto dinanzi a loro.

Dopo dieci minuti però, giungevano alla punta estrema, la quale in causa forse della sua forma, era maggiormente dirupata e guastata dalle onde che dovevano batterla senza posa. Sostarono un istante tendendo gli orecchi e udirono distintamente una voce fioca che invocava aiuto, ma pareva che salisse dalle onde.

— Mille milioni di fulmini! — gridò Enrico. — Che il signor Albani sia ancora in acqua?.. E non un lume per poterlo scorgere!

— Ma è impossibile che nuoti ancora, — disse il maltese. — Sono già due ore che la scialuppa si è rovesciata, e nessun nuotatore potrebbe resistere tanto tempo con queste ondate.

— Ma viene dal mare, ti dico!... Odi?... —

Non era possibile ingannarsi: la voce echeggiava alla base dello scoglio, ma, cosa strana, questa volta sembrava che uscisse di sotto terra, piuttosto che fra le onde

— Signor Albani! — gridò Enrico. — Siete voi?...

— Sì — rispose la voce, un istante dopo.

— Nuotate ancora?

— No.... sto per affogare....

— In nome di Dio, ditemi dove siete! —

Questa volta non ottenne alcuna risposta.

— Scendiamo, Marino, — disse Enrico. — Forse sarà aggrappato ai frangenti. —

Scesero la ripa e s’inoltrarono lottando contro le onde che li assalivano da tutte le parti. Tenendosi per mano, per essere pronti ad aiutarsi scambievolmente, giunsero poco dopo dinanzi ad un’apertura nera, che sembrava s’internasse sotto la sponda.

— Una caverna marina! — esclamò il maltese.

— Entriamo, — rispose Enrico con voce risoluta.

— E non affogheremo lì dentro?... Le onde la invadono.

— Non importa: avanti! —