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I naufraghi | 211 |
— Ma non ha risposto alle nostre chiamate.
— Questi muggiti non gli avranno permesso di udirci.
— Povero signor Albani! Andiamo a cercarlo, Marino.
— Ma con questa oscurità è impossibile.
— Andiamo, ti dico.
— Ma le onde ci trascineranno.
— Ci terremo sulla spiaggia. Vivo o morto, bisogna che lo trovi. —
Il marinaio, che pareva fuori di sè, si era rialzato facendo appello a tutta la sua energia, e seguito dal maltese si era messo a percorrere la spiaggia, mescolando le sue chiamate alle urla della bufera.
Di tratto in tratto si arrestavano, credendo di udire fra i fischi del vento, la voce del loro disgraziato compagno, poi riprendevano le ricerche spingendosi fino alla linea dei frangenti.
Pioveva a dirotto e l’oscurità era così profonda da non lasciar discernere un oggetto qualsiasi a sei passi di distanza; pure i due marinai non s’arrestavano. Curvi per resistere ai soffi tremendi del ventaccio, inzuppati d’acqua, scalzi, avendo perduto i loro stivali già assai malandati, frugavano i crepacci aperti fra le scogliere, entro i quali ingolfavansi le onde con cupi muggiti, le spaccature, le cavità, salendo e discendendo, aiutandosi l’un l’altro.
Raddoppiavano le chiamate per dominare i fragori della tempesta, ma senza mai ottenere una risposta. Esausti, s’arrestarono una seconda volta entro una cavità situata sulla sponda settentrionale dello scoglio.
— È morto, — singhiozzò Enrico. Il mare lo ha inghiottito. —
Il maltese non rispose: egli pure aveva ormai perduto ogni speranza.
— Che cosa faremo noi senza quell’uomo che era la nostra provvidenza? — continuò il marinaio, con crescente disperazione. — Che importa a me ormai di quest’isola senza di lui?... E tutto per salvare voi, incendiarii!