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I naufraghi 209

tando all’intorno uno sguardo smarrito. La scialuppa non si vedeva più, ma una forma nera si dibatteva fra la spuma, cercando di approdare.

— Signor Albani!... — gridò. — Siete voi?...

— Chi chiama? — chiese il naufrago che si dibatteva.

— Sei tu, Marino?...

— Sì...

— E il signor Albani?... —

Una voce che veniva dal largo rispose:

— Eccomi!...

— Mille terremoti! — rispose il genovese, dall’alto della spiaggia. — Dove siete, signore?

— Non inquietarti, Enrico. Le onde mi portano. —

Intanto il maltese, che lottava alla base della rupe, era pure riuscito a mettersi in salvo, ma si era arrestato scrutando i flutti color dell’inchiostro.

— Eccolo laggiù, Enrico — gridò. — Lo vedo nuotare a cinquanta passi.

— Tenete duro, signore, — tuonò il genovese. — Veniamo in vostro soccorso.

— È inutile, — rispose il veneziano. — Ci sono!... —

Un’onda l’aveva preso e lo spingeva verso lo scoglio. Fu veduto un istante librarsi sulla cresta del cavallone, in vicinanza dei frangenti, poi echeggiò un grido di dolore.

— Fulmini! — tuonò il genovese, impallidendo. — Marino!...

— Eccomi, camerata, — rispose il maltese, che scendeva a precipizio la scogliera, per correre in soccorso del povero veneziano.

— Lo vedi?...

— No, — disse Marino con voce strozzata. — Non lo vedo più! —

Enrico si era lasciato scivolare giù dalla china.

Gettò un rapido sguardo sui frangenti, approfittando di un lampo, ma non vide più Albani.