Pagina:I Robinson Italiani.djvu/213


Il maltese 207

— Se tentassimo di ritornare? — disse.

— Avremo le onde a prora, signore, — risposero Enrico e Marino.

— È vero, e la scialuppa correrebbe il pericolo di subissarsi di colpo; ma non oso spingermi tanto lontano dall’isola, amici.

— La scialuppa resiste, signore, — disse il genovese. — Se possiamo girare queste scogliere, troveremo al di là un mare più tranquillo, servendoci tutti questi ostacoli d’argine.

— Ma le onde aumentano e minacciano di spezzarmi il remo, ed il vento soffia sempre più impetuoso dall’ovest.

— Dannato uragano! — esclamò Enrico. — Orsù, bisogna andare innanzi, signore. Il pericolo è dinanzi come dietro a noi.

— Prendi un’altra mano di terzaruoli, Marino, — disse Albani. — Avanti, e che Dio ci protegga! —

La scialuppa, spinta da quel ventaccio furioso che aumentava sempre, filava come una freccia. Malgrado la sua pesantezza, saliva arditamente le onde librandosi sulle creste spumeggianti come un’alcione, poi precipitava negli avvallamenti, quindi risaliva ancora, ma imbarcava sempre acqua.

Enrico aveva dovuto abbandonare il suo posto d’osservazione a prora, e col suo cappellaccio di fibre di rotang, s’affannava a vuotarla per renderla più leggiera.

Le scogliere intanto continuavano sul tribordo. Al chiarore dei lampi si vedevano emergere le loro punte nere e aguzze, e attorno ad esse il mare si rompeva con mille muggiti paurosi, lanciando a grande altezza colonne di spuma.

Lo scoglio segnalato dal marinaio si scorgeva ormai distintamente alla luce livida dei lampi. Pareva l’estremità d’un monte sottomarino, coi fianchi dirupati, la base corrosa in mille modi dall’eterna azione delle onde. Attorno a quel picco solitario si vedevano le onde sfasciarsi con rabbia estrema e la spuma lo circondava da ogni parte come se presso di esso si estendessero altri scoglietti.