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Il maltese 205

d’Urville affermò di averne vedute talune che superavano i trentatrè metri.

— Quali urti poderosi devono produrre quelle masse!

— Tremendi senza dubbio, per le navi che devono sopportarle. Bada alla scotta: sta per giungere una raffica impetuosa, Enrico. —

Il vento cresceva di violenza rapidamente col calare delle tenebre, soffiando dall’ovest, ossia da terra e le onde raddoppiavano la rabbia scagliandosi con maggior furia contro la scialuppa.

I Robinson erano allora giunti in un luogo pericolosissimo, essendo irto di banchi e di scoglietti a fior d’acqua, difficilissimi ad evitarsi.

Non essendo prudente tenersi in mare coll’uragano che cresceva a vista d’occhio, e con quella scialuppa che era così pesante e sprovvista di chiglia, decisero di poggiare verso la costa.

Disgraziatamente i banchi e le scogliere crescevano di numero sulla loro sinistra, e per colmo di sventura il vento era contrario e tendeva a ricacciarli al largo.

— Mille terremoti! — esclamò il genovese, che cominciava a diventare inquieto. — Temo che sia una cosa assai difficile l’approdare, signor Albani. Bisogna virare al largo o noi perderemo la scialuppa.

— Non scorgi alcun passaggio fra le scogliere?

— È impossibile vederlo, con questa oscurità che ci piomba addosso e con questa spuma che rimbalza dovunque. Corriamo il pericolo di urtare.

— E al largo le onde ingrossano, — disse Marino.

— Tentiamo la sorte, amici.

— Vi dico che è impossibile, signore, — ripetè Enrico. — Qui non si passa.

— Allora viriamo al largo. —

Volsero la poppa all’isola e s’allontanarono verso l’est per girare quei banchi e quelle scogliere, ma pareva che si estendessero assai, poichè a due miglia di distanza si vedevano