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202 | Capitolo ventinovesimo |
Credetti dapprima che fosse stato morsicato da un serpente velenoso, ma alla mia domanda m’indicò gli avanzi d’un pesce che aveva arrostito e poi mangiato.
Cercai di calmare i suoi dolori, facendo bollire in una scatola di latta delle erbe che credevo medicinali; ma tre ore dopo il disgraziato aveva cessato di vivere.
Allora mi prese una paura invincibile e fuggii su questa collina. Erano sette giorni che io erravo fra queste macchie come una belva feroce, sfinito dalla fame, senza aver più il coraggio di scendere alla capanna.
Abbiamo sofferto, sapete, signore: voi vedete in quale stato miserando io sono ridotto. Sono pelle e ossa. —
— Ma non vi eravate diretti verso le coste del Borneo?
— È vero, signore; ma non possedendo alcuna bussola e temendo di smarrirci sempre più, ritornammo al nord sperando di raggiungere l’arcipelago di Sulu, finchè una notte naufragammo su queste coste.
La scialuppa si era sfasciata contro le scogliere e a grande fatica potemmo toccare terra con un fucile, trenta cariche e alcune bottiglie di Marsala.
Finchè avemmo polvere e palle potemmo vivere alla meglio abbattendo degli uccelli, ma quando terminammo le munizioni ci trovammo ben presto alle prese colla fame. Le frutta della foresta non erano sufficienti a mantenerci in forze e soffrimmo dei digiuni tremendi che ci ridussero scheletri viventi.
— Una domanda.
— Parlate, signore.
— Sapevate che noi eravamo qui?...
— Sì, — rispose il maltese. — Avevamo intrapreso un viaggio nell’interno dell’isola sperando di trovare degli indigeni, ed un giorno vi scorgemmo mentre stavate coltivando un campicello.
— E perchè non siete venuti a chiedere ospitalità?
— Per paura di venire presi e appiccati, come ne avreste avuto il diritto. Ma.... avevamo anche veduto il Piccolo Tonno; è rimasto nella scialuppa forse?...