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200 | Capitolo ventinovesimo |
esito. Una paura invincibile doveva aver invaso il maltese, il quale ormai doveva aver riconosciuto i suoi inseguitori.
Ad un tratto però, dopo d’aver superata una rupe, le forze bruscamente lo abbandonarono ed cadde in mezzo ad un cespuglio, senz’essere più capace di risollevarsi.
Albani e il marinaio in pochi salti lo raggiunsero.
— Disgraziato, dove volevi fuggire? — gli chiese il primo.
Il maltese aprì due occhi semi-spenti e disse con voce rauca:
— I vendicatori!... Tanto meglio: sarà finita.
— No, i vendicatori, — disse Albani. — Non spetta a noi vendicare le vittime della Liguria da voi incendiata. —
Nell’udire quelle parole, un lampo illuminò gli sguardi del maltese.
— Incendiata!... — esclamò. — Da chi incendiata?...
Poi fissando uno sguardo bestiale sulle loro tasche che apparivano gonfie, mormorò con voce semi-spenta:
— Muoio di fame! —
Il marinaio si sentì toccare il cuore da quella domanda. Prese una manata di biscotti e glieli porse, dicendogli con una certa emozione, che invano cercava di nascondere:
— Prendi, camerata. —
Il maltese si gettò su quei biscotti coll’avidità d’un lupo a digiuno da tre settimane, stritolandoli voracemente.
— Giù un sorso, — continuò il marinaio, porgendogli una fiaschetta di bambù piena di succo fermentato dell’arenga saccarifera. — Ti farà bene, camerata. —
Il naufrago ingollò il contenuto; poi restituì la fiaschetta, dicendo:
— Grazie, Enrico: ecco come voi pagate le canaglie della mia specie!
— Lascia andare: noi abbiamo dimenticato tutto, è vero, signor Albani?...
— Sì, — rispose il veneziano.
Il maltese li guardò a lungo, mentre i suoi occhi incavati si riempivano a poco a poco di lagrime.