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190 | Capitolo ventisettesimo |
gano e continuano a intrecciarsi, finchè giungono a fior d’acqua. Solamente allora le costruzioni cessano, poichè i polipi rifuggono dalla luce del sole; ma se non s’innalzano più, continuano però ad allargarsi.
Le onde spezzano di frequente quei coralli, ma quei guasti sono tosto riparati, anzi i detriti corallini servono a rinforzare, a cementare sempre più e a rialzare il banco. Ecco adunque lo scoglio costruito, scoglio che col tempo, continuando il lavoro dei polipi, può diventare un’isola.
— Il corallo che serve di base alle isole costruite dai polipi, è eguale a quello che noi peschiamo sulle coste della Sicilia, della Sardegna e dell’Algeria?
— No, Enrico: il corallo nobile che ha quella bella tinta rosea o rossa non si trova che nel nostro Mediterraneo. I nostri polipai sono di specie un po’ diversa e le piante sono rivestite da una specie di membrana con fiori da cui escono i polipetti.
— Ma da cosa derivano quelle belle tinte rosse?...
— Una volta si credeva che la tinta provenisse dall’ossido di ferro; ma ora si sa invece che la si deve ad una particolarità di polipi.
— E la nostra isola, credete che sia stata costruita dai polipi coralliferi?
— No, Enrico.... ma.... guarda lassù!...
— Dove? — chiese il marinaio.
— Su quella rupe. —
Il marinaio guardò nella direzione indicata e, non senza una viva sorpresa, scorse una pertica altissima, sulla quale ondeggiava uno straccio bianco.
— Un segnale?... — chiese egli.
— Così sembra, — rispose il veneziano, cacciando la ribolla del timone all’orza.
— Ma collocato lassù da chi?...
— Forse dagli individui che hanno perduto quella capsula.
— Ma allora devono essere marinai; dei selvaggi non avrebbero innalzato quel segnale di soccorso.
— Lo credo anch’io, Enrico.