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Sull’albero maestro 13

gio, ma la luna non rischiarava ancora sufficientemente il mare: bisognava aspettare che si alzasse di più sull’orizzonte.

Per la ventesima volta egli aveva lanciato la sua chiamata, quando gli parve di udire, in distanza, una voce umana.

S’arrestò anelante, trattenendo il respiro, rovesciandosi sul dorso per mantenersi a galla senza aver bisogno di muovere le braccia e le gambe ed ascoltò con profonda ansietà.

No, non si era ingannato!... Dinanzi a lui, a una distanza di tre o quattrocento metri, si udivano delle voci.

— Dei compagni!... — esclamò con viva emozione. — Dunque, non tutti sono morti nell’esplosione? —

Con un colpo di tallone s’alzò su un’onda che stava per investirlo e lanciò un acuto sguardo dinanzi a sè.

Sui flutti argentei illuminati dall’astro notturno, gli parve di scorgere due forme umane e una massa nerastra con delle antenne tese in alto. Un grido gli irruppe dal petto:

— Ohe!... ohe!... Aiuto, camerati! —

Una voce limpida, acuta, che veniva dal largo, subito gli rispose:

— Da questa parte!

— Chi siete voi?

— Albani e Piccolo Tonno.

— Il signor Emilio e il mozzo, — mormorò il marinaio. Poi, alzando la voce:

— E il capitano?

— Scomparso!

— Avete trovato un rottame?

— L’albero maestro: affrettatevi.

— Vengo! —

Il marinaio nuotava sempre e con maggior vigore, consumando le sue ultime forze. Ormai, alla luce azzurrina della luna, distingueva perfettamente i suoi compagni i quali si tenevano a cavalcioni dell’albero maestro.

Già non distava che una gomena, quando credette udire dietro di sè un tonfo ed un rauco sospiro.