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Il varo della «Roma» 173

lungo le spiagge e allagando le bassure. Il tuono non stette zitto un solo momento, con grande spavento degli animali rinchiusi nella caverna.

I Robinson, quantunque ardessero dal desiderio di visitare la costa settentrionale per constatare la gravità dei danni e per assicurarsi se i pirati avevano scoperto i loro vivai ai quali molto tenevano, essendo assai ricchi di pesci e di testuggini, non furono capaci di lasciare il loro rifugio.

L’indomani però un vigoroso colpo di vento dell’est ricacciò le nubi all’ovest, ed il sole tornò a mostrarsi.

Sapendo ormai che il bel tempo doveva durare poco, per essere prossima la stagione delle piogge, i naufraghi della Liguria approfittarono subito di quella calma per recarsi sulla costa.

Attaccarono il babirussa al carretto e seguendo la spiaggia, si diressero verso il luogo ove due giorni prima sorgeva la loro elegante e ardita capanna aerea.

Dei pirati non vi era più traccia, avendo portato con loro non solo le armi degli uomini colpiti dalle frecce mortali, ma anche i cadaveri. Solamente alcune palle di spingarda erano state abbandonate fuori della caverna.

L’uragano aveva prodotto grandi guasti lungo la costa che percorrevano. Numerosi alberi erano stati atterrati dalla furia del vento e dalle folgori e molti altri erano privi di foglie e di rami. Il suolo poi era sparso di frutta d’ogni specie, di cespugli divelti e di ammassi di piante rampicanti, specialmente di nepentes e di calamus.

Quando giunsero sulla spiaggia, presso la piccola cala, un grande sconforto li invase nello scorgere le distruzioni barbare fatte dai pirati. La grande capanna era stata completamente fracassata, sventrata ed i pezzi delle pertiche di sostegno avevano servito alla cucina di quei feroci scorridori del mare; le palizzate del recinto erano state divelte e giacevano all’ingiro ridotte in pezzi; il campicello era stato pure devastato e calpestato, ma fortunatamente le piante, essendo appena spuntate, non erano state strappate.