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162 Capitolo ventiquattresimo

la costa settentrionale, ma nessun pirata si mostrò nelle vicinanze della caverna.

Probabilmente, supponevano che gli abitanti della capanna aerea si fossero rifugiati fra le fitte foreste del grande cono dominante l’isola.

Prima che il sole tramontasse, Albani ed il marinaio scalarono la rupe gigantesca, per vedere se il tia-kau-ting si trovava ancora nella piccola cala.

Lo videro ancorato allo stesso posto che occupava al mattino e ancora privo del suo albero di trinchetto.

— Temo che occorra del tempo per ripararlo, — disse Albani.

— Forse avrà degli altri guasti, — rispose Enrico.

— Se rimangono qui parecchi giorni, scopriranno di certo le nostre tracce.

— E fors’anche i nostri vivai, signore. Mi rincrescerebbe trovarli poi senza un pesce e senza una testuggine.

— Colla pazienza ripareremo a tutto, Enrico. L’energia e la buona volontà non ci mancano.

— È vero, ma aver lavorato per quelle canaglie è dura e non so rassegnarmi. E poi, sapendo ormai che l’isola è abitata, potrebbero di quando in quando ritornare.

— Non credo che i pochi viveri trovati li possano indurre a intraprendere un secondo viaggio. Perderebbero il loro tempo inutilmente e poi, dalla cima della montagna, si persuaderanno che l’isola è deserta. —

Essendo calata la notte ridiscesero, ma il marinaio si arrestò al di fuori, nascosto fra i vegetali. Temendo sempre di venire sorpresi, avevano deciso di vegliare anche alla notte, per essere pronti a barricare la galleria.

Nulla accadde durante il primo quarto di guardia del marinaio. A mezzanotte il mozzo lo surrogò in compagnia di Sciancatello, il quale si prestava volentieri a quel servizio, quasi avesse compreso che i suoi padroni correvano un grave pericolo.

Il mozzo vegliava da due ore, rannicchiato in mezzo alle