Pagina:I Robinson Italiani.djvu/166

160 Capitolo ventiquattresimo

assai ammalate, poichè si muoveva con grande pena ed anche delle forme assai strane, poichè era assai più larga delle altre e per di più gobba.

— Ma quella bestia è deforme! — esclamò il marinaio, stupito.

— Ed io non riesco a scorgere le sue gambe, — disse il veneziano, che non lo era meno.

— Che sia ferita?...

— O che non sia una vera tigre invece?

— Cosa volete dire? —

Il veneziano non potè dare maggiori spiegazioni, poichè la tigre, alzandosi bruscamente, si sbarazzò della superba pelliccia e dinanzi ai due Robinson comparve.... Piccolo Tonno!

— Mille terremoti!... Il piccino! — esclamò il marinaio, balzando innanzi.

— Nella pelle della tigre uccisa sulla montagna, — rispose il mozzo, correndo a loro incontro. — Ah! signor Albani, quante ansie in queste quattro ore! Temevo che vi avessero uccisi, udendo tutti quegli spari.

— Per poco, — disse Enrico.

— Si è mostrato alcun pirata presso la caverna? — chiese Albani.

— Nessuno, signore.

— E Sciancatello?

— L’ho lasciato a guardia degli animali.

— Ma per quale motivo avevi indossato la pelle della tigre?

— Per spaventare i pirati, nel caso che li avessi incontrati.

— Il furbo! — esclamò Enrico.

— Sei un bravo ragazzo, — disse Albani. — Orsù, non perdiamo tempo e fuggiamo. È lontana la caverna?

— Dieci minuti, — rispose il mozzo.

— Andiamo, amici. —

Il mozzo si caricò della pelle della tigre e tutti e tre si misero in cammino, cercando di tenersi in mezzo alle macchie più fitte.