Pagina:I Robinson Italiani.djvu/163


Le devastazioni dei pirati 157

Soddisfatto delle sue osservazioni, stava per ridiscendere, quando vide sul margine del bosco, a circa trecento passi dalla loro macchia, un uomo che stava sdraiato a terra, ma che pareva si avanzasse strisciando come i serpenti.

— Corna di cervo!... — esclamò.

Si lasciò scivolare lungo il tronco e raggiunse il signor Albani, che aspettava ansiosamente.

— Se ne sono andati? — chiese questo.

— Il grosso della truppa marcia verso la montagna, ma noi stiamo per venire sorpresi, signore, — rispose il marinaio. — Uno di quei furfanti ha scoperto le nostre tracce e si avvicina.

— Uno solo?...

— Non ne ho veduto altri. Affrettiamoci a fuggire prima che giunga.

— No, Enrico, — rispose il veneziano. — Se ci scorge darà l’allarme e attirerà l’attenzione dei suoi compagni rimasti sulla nave.

— Che cosa volete fare, adunque?... Non è lontano che trecento passi.

— Lasciarlo passare oltre.

— E se ha scoperto le nostre tracce?...

— Peggio per lui, poichè lo uccideremo, — disse Albani, con voce risoluta. — Non bisogna che scoprano la nostra caverna, o saremo perduti.

— Udite?...

— Sì, un ramo si è spezzato. Lascia fare a me, Enrico. —

Il veneziano si era messo a cavalcioni d’un solido ramo e aveva impugnata la cerbottana.

Il pirata si avvicinava, strisciando attraverso la boscaglia. Si udivano le foglie secche stridere e i rami spezzarsi e si vedevano le cime dei cespugli ondeggiare lievemente.

Certamente quell’uomo doveva aver scoperto le loro tracce, rimaste impresse sul suolo umido della foresta, e seguiva senza deviare. Fra qualche minuto doveva giungere presso l’albero.