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154 | Capitolo ventitreesimo |
cadde all’indietro emettendo un urlo di dolore. I suoi compagni si volsero bruscamente e vedendo il marinaio che fuggiva attraverso il macchione, ora apparendo ed ora scomparendo in mezzo agli alberi, scaricarono i loro moschettoni, ma ormai era troppo tardi. Enrico si era gettato in mezzo ai bambù e quella scarica non ottenne altro effetto che quello di produrre molto baccano e un nuvolone di fumo.
Albani si era lanciato dietro al compagno che fuggiva colla velocità d’un cervo. Aveva veduto i pirati correre sulle loro tracce e premendogli di tenere loro celato il luogo che serviva di rifugio, aveva stimato essere miglior partito di guadagnare le fitte foreste dell’interno.
In dieci minuti i due fuggiaschi attraversarono la piantagione ed essendo pratici dei luoghi, si nascosero in mezzo a un bosco così intricato, da rendere vano l’inseguimento.
— Saliamo su quell’albero, — disse il veneziano, indicandone uno che era coperto da un fogliame densissimo e per di più cinto e ricinto da una vera rete di calamus.
Aiutandosi l’un l’altro giunsero sul tronco, accomodandosi fra le biforcazioni dei rami.
— Imprudente, — disse Albani al genovese, quando potè tirare il fiato. — Se tardavi un istante a nasconderti nella piantagione, ti facevi crivellare da quella scarica.
— È vero, sono stato molto imprudente, signore, — rispose il marinaio, — ma non ho potuto frenarmi vedendo quelle distruzioni.
— Ed ora scorrazzeranno l’isola per vendicare il loro compagno.
— Lo credete?...
— Certo, Enrico. Forse spereranno di trovare altre capanne da saccheggiare o qualche villaggio e di fare degli schiavi.
— Ma non sarà facile per loro scoprire la nostra caverna.
— Se scorgono le nostre tracce la troveranno. Seguendo i solchi lasciati dalle ruote del nostro carretto, non s’inganneranno.