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10 | Capitolo secondo |
suno lo sapeva, e il capitano Martino, che preferiva avere a bordo dei marinai del Mediterraneo e possibilmente degli italiani, non aveva cercato di scoprirne il motivo, tanto più che la nave inglese aveva lasciato il porto tre settimane prima, in rotta pei porti del Celeste Impero.
Pochi giorni dopo però, doveva pentirsene di quei nuovi arruolati. Infatti appena in alto mare, fuori di vista dalle coste della Malacca, i maltesi avevano cominciato a dare segni d’insubordinazione.
Lavoravano il meno possibile, non compivano mai interamente i loro quarti di guardia sia notturni che diurni, si ribellavano ai comandi del nostromo, a quelli del secondo e finalmente a quelli del capitano.
Dovendo poggiare a Varauni per prendere una ragguardevole provvista di olii canforati, pure destinati agli isolani delle Marianne, egli aveva deciso di sbarazzarsene; ma giunto nel porto della capitale del regno di Borneo, i due maltesi, che da qualche giorno pareva fossero pentiti, con mille promesse erano riusciti a farsi mantenere a bordo.
Era stato precisamente a Varauni che il capitano Falcone aveva imbarcato, in qualità di passeggiero, quell’uomo che abbiamo udito chiamare il signor Emilio, dietro speciali raccomandazioni del console olandese.
Il passeggero non era un olandese, ma un italiano come tutto l’equipaggio della Liguria. Era un veneziano da parecchi anni stabilitosi nel Borneo, dove aveva fatto una considerevole fortuna trafficando in canfora.
Antico ufficiale di marina, poi esploratore per conto del governo olandese, quindi negoziante ricchissimo, si era imbarcato per fare delle esplorazioni per suo conto nelle isole del grand’Oceano.
Uomo istruitissimo, amabile, energico quanto il capitano, tenne buona compagnia a tutti, facendosi amare dai marinai e dagli ufficiali.
La navigazione era stata ripresa sotto i più lieti auspici, essendo il mare tranquillissimo e il vento favorevole.