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Le devastazioni dei pirati 153

piccola nave, si erano affrettati a raggiungerli per prendere parte al saccheggio. Vedendo quei pochi viveri, montarono pur loro in furore e si misero a demolire la cinta, poi la tettoia, quindi a calpestare le pianticelle del piccolo campo, poi, non soddisfatti, cominciarono a tagliare i bambù di sostegno per far capitombolare anche la capanna aerea.

I due naufraghi, fremendo di collera, assistevano impotenti a quella barbara devastazione, alla distruzione del loro campicello coltivato con tante cure e alla demolizione della loro casa che avevano fabbricato con tante fatiche.

Il marinaio, soprattutto, pareva che da un istante all’altro dovesse scoppiare.

— Canaglie! — esclamò. — Distruggere in tal modo le nostre risorse future e la nostra dimora, che ora doveva proteggerci nella stagione delle piogge!... Ladroni!... Se avessi una buona carabina, vedreste come vi tratterei.

— Lasciali fare, Enrico, — rispondeva Albani. — Accontentiamoci di salvare la pelle.

— Ma io non posso assistere a tanta devastazione, signore! Bisogna che uccida qualcuno!

— Per farci inseguire e prendere?... No, Enrico, lasciamoli fare. La pazienza e la buona volontà non ci mancano, e ripareremo facilmente i guasti. —

In quell’istante la capanna aerea, privata dei bambù di sostegno, capitombolava a terra con grande fracasso, disarticolandosi, mentre i pirati, contenti come fanciulloni, ridevano e schiamazzavano per quella prodezza.

Era troppo pel marinaio, che aveva il sangue bollente. Dimenticando ogni prudenza, prima che Albani potesse trattenerlo si scagliò fuori dalla piantagione, raggiungendo un macchione che si estendeva fino a trenta passi dalla capanna.

Puntare la cerbottana, soffiarvi dentro, lanciare una freccia mortale e abbattere un uomo che si trovava a buona portata, fu l’affare d’un lampo.

Il pirata, colpito in mezzo al dorso dal sottile cannello,