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148 | Capitolo ventiduesimo |
— Ma che cosa temete?... — chiesero i due marinai.
— Che quella nave sia montata da persone, che starebbero bene appiccate ai pennoni di contra-pappafico. Non dimentichiamo che noi ci troviamo in una regione corseggiata dai più sanguinari pirati dell’arcipelago Chino-Malese, quelli delle Sulu.
— Credete proprio che sia equipaggiata da quei ladroni?
— Potrebbe anche essere una onesta giunca chinese in rotta per le Molucche, usando quelle navi portare un solo fanale, una lanterna monumentale sospesa all’albero di trinchetto; ma potremmo anche ingannarci. Se però lo volete, amici miei, accendete pure i fuochi.
— Ah! no, signore! — esclamarono Enrico e Piccolo Tonno.
— Allora aspetteremo l’alba. Sul mare regna una calma perfetta e quella nave non andrà lontana.
— Ditemi, signor Albani, — disse il marinaio. — Credete che i pirati delle Sulu conoscano l’esistenza di quest’isola?...
— È probabile, Enrico, frequentando essi questo mare.
— Che possano sbarcare qui?...
— Non saprei veramente che cosa potrebbe attirarli.
— Forse per cercare dell’acqua o per procurarsi del legname?
— Si può ammetterlo.
— In tal caso bisognerebbe lasciare la capanna e salvarci nelle foreste.
— O nella caverna, — disse Piccolo Tonno.
— Di certo, — rispose il veneziano. — Se quegli uomini ci sorprendono, ammesso che siano pirati, non esiterebbero a farci prigionieri e poi a trarci in schiavitù.
— Ma non ci faremo agguantare, signore. Abbiamo le frecce avvelenate e ci difenderemo. Per mio conto, questa notte non dormirò.
— Basterà che vegli uno per turno.
— Allora a me il primo quarto, — disse il mozzo.
— Bada di tenere bene aperti gli occhi veh! — disse En-