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138 | Capitolo ventunesimo |
Dopo quattro giorni la cassa era pronta, ma mancavano le ruote, nè sapevano come ottenerle con quegli arnesi così imperfetti.
Provarono a tagliare il tronco d’un albero ma il ferro della scure rimbalzava sulle fibre legnose, non avendo ormai più il filo.
Stavano per rinunciare, disperando ormai di riuscire, quando un giorno il mozzo, che si era spinto molto lontano lungo le sponde del mare per raccogliere gli uccelli che si lasciavano prendere sui rami coperti di vischio, fece una scoperta importante.
Su una costa aveva trovato delle vere pietre arenarie, di dimensioni non piccole. Ritornò precipitosamente alla capanna a portare la lieta notizia.
Si poteva ormai dire che anche la questione delle ruote era risolta. Il veneziano lasciò che il marinaio si occupasse del carretto e intraprese la costruzione d’una macchina da arrotino.
Confricando le pietre le une contro le altre e bagnandole, riuscì ad arrotondarne una. La montò su di una cassetta, costruì una manovella e finalmente riuscì ad arrotare la sua scure ed anche i coltelli dei marinai.
Quelle armi, maneggiate pazientemente, furono sufficienti per tagliare due pezzi d’un tronco d’albero ben rotondo, d’un diametro considerevole. S’intende che quelle ruote erano piene come quelle che vengono adoperate dai boers del Capo di Buona Speranza, ma in fatto di solidità potevano dare dei punti alle altre.
Il 1° ottobre i naufraghi, dopo d’aver fatta una bardatura di tela da vele doppiata, attaccarono il babirussa sotto il carretto. L’animale, quantunque ormai avesse perduto la sua selvatichezza, mercè le continue assidue cure di Piccolo Tonno, dapprima si mostrò ricalcitrante, ma dopo parecchie prove finì coll’abituarsi ed il ragazzo si permise il lusso d’una trottata fino alla piantagione di bambù, in compagnia delle due scimmie e dello Sciancatello il quale, con una