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136 | Capitolo ventesimo |
— Si mette anche in commercio quella cera?...
— Sì, Enrico. Si formano dei pani del peso di due o tre chilogrammi e si vendono a buon prezzo. La cera che si ottiene dapprima è giallastra, ma al contatto dell’aria a poco a poco si schiarisce e le candele che si fabbricano sono di bell’aspetto come le altre.
— Ma sapete, signor Albani, che è una cosa meravigliosa?... Io non avevo mai saputo che ci fossero alberi capaci di surrogare le api.
— Ve ne sono altri, specialmente nell’America del Sud, ma in quelle piante la cera si trova sotto le foglie in forma di sottili laminelle.
— Bisogna venire a raccogliere queste mandorle, signore?
— Sì, Enrico e dobbiamo andare a raccogliere anche le noci di cocco prima che maturino troppo.
— Ma come faremo a portare tante cose alla capanna?... Ci vorrebbero quindici giorni.
— Lo so e bisognerà costruire un ruotabile.
— Una carriuola?...
— Qualche cosa di meglio e di maggior capacità. Il babirussa comincia ad addomesticarsi e lo faremo servire da asino.
— Bell’idea, signor Albani. Ma... e il nostro siri? Occorre altro per prepararlo?
— Mi dimenticavo l’uncaria. Andiamo a vedere laggiù in quel macchione. —
Si diressero verso il margine della boscaglia e dopo aver visitato accuratamente parecchie macchie, scoprirono finalmente la pianta desiderata.
Era un frutice sarmentoso, coperto d’una corteccia bruno-rossastra, con rami cilindrici e foglie lanceolate munite di spine ricurve.
Il veneziano fece un’incisione e raccolse, in un pentolino di terra, il succo che scolava.
— Il siri sarà pronto per questa sera, — disse poi. — Basta ridurre in polvere le noci d’areca, mescolarle col succo