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Nuove scoperte 131

in compagnia dello Sciancatello, per cercare nuove e utili piante, che potevano essere di grande giovamento alla piccola colonia.

Le sue escursioni non erano improduttive, poichè tutte le sere ritornava alla capanna o con delle pianticelle, che si affrettava a piantare nel terreno dissodato, o con delle nuove frutta.

Aveva già scoperto altre patate dolci, certe specie di cipolle squisite, dei tuberi che somigliavano alle rape ed aveva portato parecchie frutta d’artocarpo e di più specie: delle buâ mangha (artocarpus integrifolia), che sono di dimensioni enormi pesando perfino sessanta chilogrammi; delle a buâ champandak, varietà più piccola, ma più dolce e più delicata, e dei tambul (artocarpus incisa o albero del pane).

Il bravo veneziano aveva fatto servire quella polpa giallastra cucinata nel forno, in pentola e sui carboni e l’aveva perfino adoperata con molto successo, nella preparazione di certi pasticci, ma una parte l’aveva messa in serbo seppellendola entro buche scavate in terra, dopo d’averla avvolta entro foglie di banani.

Così conservata, quella polpa diventava leggiermente acida dopo un certo tempo, ma non disaggradevole e serviva a variare il solito pane.

Non era però ancora contento il brav’uomo. Mentre i suoi compagni, terminato il dissodamento del campicello, si occupavano a scavare una profonda buca presso la sponda, volendo arricchirsi anche d’un vivaio di pesci, continuava a percorrere con accanimento le foreste per cercare degli alberi che riteneva indispensabili.

Un giorno finalmente, i due marinai lo videro tornare al campo raggiante di gioia. Recava una specie di palla grossa come la testa d’un fanciullo, coperta di filamenti duri e rossicci.

— Cosa ci recate, signore! — chiese il marinaio.

— Ciò che cercavo con tanto accanimento, — rispose il veneziano. — Ero certo di trovarla su quest’isola.