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128 | Capitolo diciannovesimo |
— Zoppicando, ma ci verrò, signor Albani. Mi pare che sia trascorso un mese dalla nostra partenza.
— A domani dunque. —
Piccolo Tonno aveva acceso il fuoco per tener lontane le fiere, avendo scorto sui margini di quella foresta delle orme che potevano essere state fate dalle tigri, e si era seduto fuori della tenda assieme al mias, per fare il suo primo quarto.
Il signor Albani si coricò presso al marinaio che cominciava già a russare, quantunque avesse dormito quasi tutta la giornata.
Durante la notte vi fu un allarme, nell’ultimo quarto di guardia, essendo state scorte delle grosse ombre vagare presso il margine del bosco, ma senza conseguenze, poichè bastò la presenza del mias per fugarle.
Quando Enrico si svegliò, pareva ormai perfettamente guarito. Solamente la gamba era un po’ gonfia e la piaga prodotta dalla bruciatura gli causava dei dolori acuti.
Nondimeno volle partire, desiderando ardentemente di rivedere la capanna e soprattutto il fornello per preparare le famose ciambelle.
Lo Sciancatello e il mozzo si caricarono della tenda, delle armi e dei viveri, ed Enrico, appoggiatosi al braccio del veneziano, diede coraggiosamente il segnale della partenza. Zoppicava assai e di tratto in tratto impallidiva per gli spasimi che soffriva, pure non emetteva alcun gemito.
Arrestandosi ogni due o trecento passi per concedere al ferito un po’ di riposo, verso le nove giungevano a cinquecento passi dalla capanna aerea, attorno alla quale svolazzavano, gridando e cinguettando, bande di pappagalli colle penne variopinte e stormi di rondini marine.
Si erano arrestati per concedere ad Enrico un ultimo riposo, quando scorsero le loro due scimmie scendere a precipizio i pali di sostegno della capanna e arrestarsi presso una buca, che era stata scavata sul margine della piantagione di bambù per prendere la grossa selvaggina.