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126 Capitolo diciannovesimo

— Piuttosto di abbandonare voi, avrei preferito perdere entrambe le gambe.

— Basta, — disse Albani, vedendo che il marinaio faceva degli sforzi crescenti per terminare le parole. — Manda giù questa tazza di brodo e poi torna a chiudere gli occhi. Il riposo ti farà molto bene.

— Lo credo anch’io, signore. Mi sento invadere da una nuova sonnolenza irresistibile. —

Vuotò la tazza di brodo, poi ingollò alcuni sorsi di tuwak, quindi tornò a coricarsi. Pochi minuti dopo s’addormentava ma non era un assopimento, era un vero sonno.

Durante l’intera giornata, il signor Albani e il mozzo vegliarono accanto al ferito, in compagnia di Sciancatello il quale, vedendo il suo amico coricato, di tratto in tratto rompeva in gemiti lamentevoli.

Verso il tramonto, il marinaio, che si sentiva meno debole e in appetito, mangiò una coscia di tucano e stritolò un biscotto, innaffiando la cena con una nuova e più abbondante sorsata di tuwak.

I suoi compagni erano contentissimi di quella rapida e veramente prodigiosa guarigione. Lo stesso marinaio, che al mattino si credeva già spacciato, era meravigliato.

— Quasi si potrebbe credere che i serpenti dagli occhiali non sono così velenosi come raccontano i viaggiatori, — diss’egli. — Dovevo morire in un quarto d’ora ed invece sono più vivo di prima.

— Puoi ringraziare quel povero scoiattolo, che ha ricevuto prima di te la provvista di veleno del rettile, — disse Albani. — Senza quel fortunato caso, saresti morto.

— Malgrado le vostre cure?..

— Sono mezzi che riescono contro i morsi delle vipere, ma assai di rado contro quelli dei cobra-capello o dei serpenti del minuto o dei sonagli.

— Ma dove hanno il loro magazzino di veleno, quei dannati rettili?... Nei denti, forse?...

— In una glandola situata nella mascella superiore. Basta