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122 Capitolo diciottesimo

— Gran Dio!... — esclamò il mozzo. — Che cosa è accaduto, signor Albani?... Enrico!...

— Taci, — gli disse il veneziano.

— Ditemi cosa è accaduto, signore.

— È stato morso da un serpente.

— E muore?...

— Non disperiamo, ragazzo mio, — disse Albani, frenando le lagrime.

— Ah!... Salvatelo, signor Albani!... — esclamò il mozzo, scoppiando in singhiozzi. — Voi che sapete tante cose, potete strapparlo alla morte.

— Ho fatto tutto ciò che potevo.

— Avete qualche speranza?...

— Forse.

— Ma ditemi....

— Taci, Piccolo Tonno. Va a cercarmi dell’acqua.

— Ho la mia fiasca piena. Prendete, signore. —

Albani prese la fiasca che il ragazzo gli porgeva e lavò il sangue che continuava a sgorgare dalla ferita, poi vedendo che il polpaccio del marinaio si era notevolmente gonfiato, slegò il fazzoletto e lo annodò più sopra, per evitare la perdita del membro offeso.

Enrico pareva sempre svenuto. Però a poco a poco il suo pallore acquistava una tinta meno sbiadita e la sua respirazione, dapprima affannosa, accennava a diventare più tranquilla, più regolare.

Albani gli tastò il polso e s’accorse che non era più agitato. Una viva commozione gli si dipinse sul viso.

— Piccolo Tonno, — disse al mozzo, che continuava a singhiozzare. — Sta per compiersi un miracolo che pochi minuti or sono non speravo.

— Riuscirete a salvare Enrico?...

— Comincio a sperarlo.

— Non era adunque velenoso quel serpente?...

— Anzi dei più velenosi, poichè i cobra-capello o serpenti dagli occhiali uccidono l’uomo più robusto in un quarto