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110 Capitolo sedicesimo

Il signor Albani, che da qualche minuto girava gli occhi con una certa attenzione, si era fermato esaminando il terreno delle radure. Rimuoveva le piante, le divideva coi piedi e pareva che cercasse con ostinazione qualche cosa d’importante.

— Sperate di trovare delle altre patate dolci? — gli chiese Emico, che si era pure fermato per riposarsi un po’.

— Cerco una o meglio delle tracce, — rispose il veneziano.

— Le tracce di qualche nuovo animale?...

— No, d’una antica coltivazione.

— Oh!... d’una coltivazione!... — esclamarono il marinaio e il mozzo.

— Sì, amici, e sono certo di non ingannarmi. Questo terreno è stato lavorato e sgombrato dagli alberi che un tempo lo coprivano. Guardate: ecco qui le tracce d’un solco e qui, sotto queste erbe, gli avanzi d’un albero tagliato e d’un altro mezzo sradicato.

— Fulmini!... — esclamò Enrico. — Che quest’isola sia proprio abitata?...

— O per lo meno un tempo lo fu, — disse Albani.

— Ma da chi?...

— Forse da qualche colonia d’isolani delle Sulu.

— Ma molto tempo fa?...

— Da molti anni di certo.

— Ma si dovrebbero vedere le tracce di qualche capanna, se non gli avanzi.

— Potrebbe esistere nei dintorni.

— Cerchiamola, signore. —

Il veneziano non rispose. Teneva gli sguardi fissi su un gruppo di piante che cresceva in mezzo ad una di quelle radure.

— Che cosa guardate, signore? — chiese il marinaio, stupito di non ricevere risposta.

— Dimmi, Enrico, — disse Albani, con una certa emozione, — gradiresti una tazza di caffè?...