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Una luce misteriosa 107

— Taci!... — esclamò il signor Albani, interrompendolo bruscamente.

— Che cosa avete udito? — chiese il mozzo, dopo alcuni istanti di silenzio.

— Una lontana detonazione.

— È impossibile, signore!... Se quest’isola è deserta....

— Non lo sappiamo ancora, anzi quel fumo scorto ieri sera indicherebbe il contrario. Vieni, ragazzo mio. —

Gettò a terra la pelle sanguinante della tigre che aveva allora staccata e salì sulla rupe che formava la vetta della montagna.

Giunto sulla cima guardò verso al sud e gli parve di scorgere, nel medesimo punto ove poche ore prima aveva veduto alzarsi la colonna di fumo, un debole chiarore che pareva proiettato da un fuoco acceso sotto i boschi.

— Della luce! — esclamò. — Ma allora laggiù accampano degli uomini!

— Ma chi siano? Degli abitanti o dei naufraghi? — chiese Piccolo Tonno. —

Il signor Albani non rispose: continuava a guardare quel chiarore che talvolta diventava più vivo, spiccando distintamente fra le tenebre e che ora pareva accennasse a spegnersi.

Verso le due del mattino quella luce si estinse bruscamente, nè più ricomparve. Il signor Albani attese fino all’alba sperando di udire qualche altra detonazione, ma invano.

— Forse saranno stati dei pirati, — mormorò egli. — Non credo che quest’isola sia abitata.

— Scendiamo, signore? — chiese il mozzo.

— Sì, Piccolo Tonno. —

Si caricarono della pelle della tigre e delle patate dolci che avevano raccolte nella foresta e si misero a scendere le balze della montagna, regolando la loro direzione sulle incisioni che avevano fatto sugli alberi.

Tre ore dopo udirono la voce del marinaio, che saliva dal fondo d’una valletta boscosa.