Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
94 | Capitolo quattordicesimo |
aver saccheggiato l’alveare per proprio conto, aveva portato i favi intatti ai suoi padroni.
Il marinaio non perdette tempo. Si rimboccò le maniche, si fece dare la pentola e si mise a spremere la cera, facendo uscire larghi goccioloni di miele profumato.
S’accorse ben presto che quel recipiente non bastava a contenere tutto il succo, ma il signor Albani s’affrettò a trovare altri recipienti formando dei coni impenetrabili colle larghe foglie d’un arecche.
Quando l’operazione fu terminata, calcolarono la loro provvista a dodici chilogrammi, detraendo qualche chilogrammo regalato all’onesto Sciancatello e alle due scimmie.
— Quante ciambelle! — esclamò il marinaio. — Capperi!... Ne mangeremo a sazietà.
— Ma non hai pensato ad una cosa, Enrico, — disse Albani. — Come faremo ad attraversare i boschi con questi recipienti?... La montagna è ancora alta, amico mio.
— Fulmini!... Ma io non lascerò qui il mio miele, signore. Gli orsi o le scimmie me lo mangerebbero.
— Lo credo, e poi non possiamo condurre con noi gli orsi.
— Lasciatemi qui e salite voi la montagna.
— Non avrai paura delle tigri?
— Ho la cerbottana e le frecce sono avvelenate.
— Ti lasceremo anche lo Sciancatello; è un buon compagno che sa maneggiare solidamente il suo randello.
— Quando sarete di ritorno?...
— Temo che saremo costretti ad accamparci sulla cima della montagna. Domani all’alba faremo ritorno.
— Sarete capaci di trovarmi?... Potete smarrirvi in questi boschi.
— Conosco il mezzo per dirigermi. Addio, Enrico.
— Buon viaggio, signore. Vi preparerò delle ciambelle intanto e sentirete come saranno deliziose!... Me ne intendo, io! —
Si salutarono un’ultima volta, ed il veneziano ed il mozzo si rimisero in cammino lasciando al marinaio anche le due