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lxx I Nibelunghi

Il quale, giovane animoso e nutrito di buoni studi, ha data una traduzione in prosa, bella, spigliata e spontanea, e tale che, a dir il vero, molto volentieri si legge e senza fatica. Soltanto mi pare che egli abbia abbassato di non poco il tono dei Nibelunghi, i quali non hanno la grandiosità dei grandi poemi, come l’Iliade o il Libro dei Re, ma non sono nemmeno di stile tanto umile e depresso quanto quello dei Reali di Francia.

Se il Gabrielli avesse tradotto in versi il poema, io molto facilmente avrei lasciato stare, sebbene avessi cominciata la mia traduzione molto tempo prima. Ma poichè egli ha tradotto in prosa e ha creduto di dare al poema quella intonazione che di sopra ho notato, senza che io pretenda di aver fatto meglio, ma soltanto per seguire una mia propria convinzione, con un tono che ho cercato di mantener più sostenuto, e in versi, ho pensato di condurre a termine la incominciata traduzione. Da parte mia poi