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lxii I Nibelunghi

non ha saputo, come ha fatto il poeta dell’Edda, abbracciar d’uno sguardo la terribile scena, e alla descrizione dell’orribile tumulto e della sanguinosa carneficina non ha saputo dar la movenza e la vita che Omero le avrebbe date. Del quale non avendo l'arte, l’arte alata, come dice Pindaro, egli doveva esser più sobrio e più presto sbrigarsi, come ora si diceva, laddove egli inettamente diluisce il racconto e fa che gli eroi lungamente stiano a contendere fra loro a parole, bisticciandosi in modo da togliere quasi ogni effetto. I colloqui poi che, non si sa per qual canone d’arte, colloqui quasi platonici, sono incastrati nel momento più terribile della azione, collocati uno dietro l’altro, alternati con tenzoni e duelli, carneficine e morti d’ambe le parti, come ritardano lo scioglimento e son di nocumento all’effetto, mostrano anche che il poeta (se pur da lui procede tale disposizione e ordine del racconto) è impacciato nel dire e descrivere