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I Nibelunghi lvii

il traduttore che traduce in versi, non deve mai dimenticare che egli fa opera con intento d’arte, e l’arte è delicata assai e bisogna trattarla bene; anche deve pensare che egli non decompone, ma ricompone, dopo averlo fatto suo, il libro ch’egli va traducendo, e però bisogna ch’egli lo renda nella sua lingua con tutto quel decoro e quella proprietà che la nuova veste domanda, pur tenendosi fedele al testo quanto più può. Quanto a me, dirò ch’io ho fatto ciò che ho potuto per esser fedele e dar veste conveniente nella mia lingua alla canzone dei Nibelunghi; e altri giudicherà. Aggiungo soltanto, per finire, che io, come in altra mia traduzione di maggior lena, traducendo i Nibelunghi non ho voluto punto soddisfare alle pretese miserabili di quei pedanti che d’un poeta che s’ha da tradurre, vogliono resa e ritratta la parola materiale e non lo spirito, e mostrano di preferire alla divina traduzione del Monti la stentata e sciancata, ler-

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