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grattarsi il capo, per più di venticinque lire, talmente che padron ’Ntoni e i suoi nipoti si sentivano venire l’acquolina in bocca di parlare anche loro, di spifferare la loro brava difesa che si sentivano gonfiare in testa; e se ne andarono intontiti, sopraffatti da tutte quelle ragioni che avevano, ruminando e gesticolando le chiacchiere dell’avvocato per tutta la strada. Maruzza che stavolta non era andata, come li vide arrivare colla faccia rossa e gli occhi lucenti, si sentì sgravare di un gran peso anche lei, e si rasserenò in viso aspettando che dicessero quel che aveva detto l’avvocato. Ma nessuno apriva bocca e stavano a guardarsi l’un l’altro.
— Ebbene, — domandò infine Maruzza la quale moriva d’impazienza.
— Niente! non c’è paura di niente! — rispose tranquillamente padron ’Ntoni.
— E l’avvocato? — Sì, l’avvocato l’ha detto lui che non ci è paura di niente.
— Ma cosa ha detto? — insistè Maruzza.
— Eh, lui sa dirle le cose; un uomo coi baffi! Benedette quelle venticinque lire!
— Ma infine cos’ha detto di fare?
Il nonno guardò il nipote, e ’Ntoni guardò il nonno. — Nulla, — rispose alfine padron ’Ntoni. — Ha detto di non far nulla.
— Non gli pagheremo niente, — aggiunse ’Ntoni più ardito, — perchè non può prenderci nè la casa nè la Provvidenza.... Non gli dobbiamo nulla.
— E i lupini?
— È vero! e i lupini? — ripetè padron ’Ntoni.