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padron ’Ntoni; — lavoriamo notte e giorno per lo zio Crocifisso. Quando abbiamo messo insieme una lira, ce la prende Campana di legno.
Il nonno, colla Maruzza, si consolavano a far castelli in aria per l’estate, quando ci sarebbero state le acciughe da salare, e i fichidindia a dieci un grano, e facevano dei grandi progetti d’andare alla tonnara, e per la pesca del pesce spada, dove si buscava una buona giornata, e intanto mastro Bastiano avrebbe messo in ordine la Provvidenza. I ragazzi stavano attenti, col mento in mano, a quei discorsi che si facevano sul ballatoio, o dopo cena; ma ’Ntoni che veniva da lontano, e il mondo lo conosceva meglio degli altri, si annoiava a sentir quelle chiacchiere, e preferiva andarsene a girandolare attorno all’osteria, dove c’era tanta gente che non faceva nulla, e anche lo zio Santoro, il quale era il peggio che ci potesse essere, faceva quel mestiere leggièro di stendere la mano a chi passava, e biascicare avemarie; o se ne andava da compare Zuppiddo, col pretesto di vedere a che stato fosse la Provvidenza, per far quattro chiacchiere con Barbara, la quale veniva a metter frasche sotto il calderotto della pece, quando c’era compare ’Ntoni.
— Voi siete sempre in faccende, comare Barbara, — le diceva ’Ntoni, — e siete il braccio destro della casa; per questo vostro padre non vi vuol maritare.
— Non mi vuol maritare con quelli che non fanno per me, — rispondeva Barbara, — «pari con pari e statti coi tuoi».