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lì per questo, e non passava una mosca che ei non lo sapesse; tanto che sua figlia Mariangela gli diceva: — A voi cosa ve ne importa? perchè state a mischiarvi nei fatti di Campana di legno? Già un soldo, che è un soldo, non lo spende all’osteria, e sta davanti all’uscio per niente.
Però Alfio Mosca non ci pensava nemmeno alla Vespa, e se ci aveva qualcheduna per la testa, era piuttosto comare Mena di padron ’Ntoni, che la vedeva ogni giorno nel cortile o sul ballatoio, o allorchè andava a governare le bestie nel pollaio, e se udiva chiocciare le due galline che le aveva regalato si sentiva una certa cosa dentro di sè, e gli sembrava che ci stesse lui in persona nel cortile del nespolo, e se non fosse stato un povero carrettiere dal carro dell’asino, avrebbe voluto chiedere in moglie la sant’Agata, e portarsela via nel carro dell’asino. Come pensava a tutto ciò si sentiva in testa tante cose da dirle, e quando poi la vedeva non sapeva come muover la lingua, e guardava il tempo che faceva, e le parlava del carico di vino che aveva preso per la Santuzza, e dell’asino che portava quattro quintali meglio di un mulo, povera bestia.
Mena l’accarezzava colla mano, la povera bestia, ed Alfio sorrideva come se gliele facessero a lui quelle carezze. — Ah! se il mio asino fosse vostro, comare Mena! — Mena crollava il capo e il seno le si gonfiava pensando che sarebbe stato meglio se i Malavoglia avessero fatto i carrettieri, chè il babbo non sarebbe morto a quel modo.
— «Il mare è amaro, — ripeteva, — ed il marinaro muore in mare».