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sa, che poi se la mangerebbero all’osteria della Santuzza.

— Non è vero che mi volete bene, — seguitava ella, respingendolo a gomitate, — se fosse vero lo sapreste quel che dovete fare, e lo vedreste che non ci ho altro per il capo.

Ella gli voltava le spalle corrucciata, e senza avvedersene andava stuzzicandolo coll’omero. — Ma di me a voi non ve ne importa! — Lo zio si offese di quel sospetto ingiurioso. — Questo lo dici per farmi far peccato! cominciò a lamentarsi. Non gliene importava del sangue suo? perchè infine ella era sangue suo, come la chiusa, che era stata sempre della famiglia, e ci sarebbe rimasta, se suo fratello, buon’anima non avesse pensato a maritarsi e a mettere al mondo la Vespa; e perciò ei l’aveva tenuta come la pupilla degli occhi suoi, e pensava sempre al suo bene. — Senti, — le disse, — ho pensato di darti il debito dei Malavoglia, in cambio della chiusa che sono quarant’onze, e colle spese e i frutti potrebbero arrivare cinquanta, e c’è da papparsi la casa del nespolo, che per te ti giova meglio della chiusa.

— La casa del nespolo tenetevela voi! — saltò su la Vespa. — Io mi tengo la mia chiusa, e so io cosa devo farne!

Allora lo zio Crocifisso montò in bestia anche lui, e le disse che lo sapeva cosa voleva farne, che voleva farsela mangiare da quel pezzente di Alfio Mosca, il quale le faceva l’occhio di triglia per amor della chiusa, e non voleva vederselo più per la casa e nel cortile, che alla fin fine ci aveva sangue nelle