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e il nespolo sino all’ultima foglia erano ancora suoi; ed io che son vecchio sono ancora qua. «Uomo povero ha i giorni lunghi».

Maruzza non diceva nulla, ma nella testa ci aveva un pensiero fisso, che la martellava, e le rosicava il cuore, di sapere cos’era successo in quella notte, che l’aveva sempre dinanzi agli occhi, e se li chiudeva le sembrava di vedere ancora la Provvidenza, là verso il Capo dei Mulini, dove il mare era liscio e turchino, e seminato di barche, che sembravano tanti gabbiani al sole, e si potevano contare ad una ad una, quella dello zio Crocifisso, l’altra di compare Barabba, la Concetta dello zio Cola, e la paranza di padron Fortunato, che stringevano il cuore; e si udiva mastro Cola Zuppiddo il quale cantava a squarciagola, con quei suoi polmoni di bue, mentre picchiava colla malabestia, e l’odore del catrame che veniva dal greto, e la tela che batteva la cugina Anna sulle pietre del lavatoio, e si udiva pure Mena a piangere cheta cheta in cucina.

— Poveretta! — mormorava il nonno, — anche a te è crollata la casa sul capo, e compare Fortunato se ne è andato freddo freddo, senza dir nulla.

E andava toccando ad uno ad uno gli arnesi che erano in mucchio in un cantuccio, colle mani tremanti, come fanno i vecchi; e vedendo Luca lì davanti, che gli avevano messo il giubbone del babbo, e gli arrivava alle calcagna, gli diceva: — Questo ti terrà caldo, quando verrai a lavorare; perchè adesso bisogna aiutarci tutti per pagare il debito dei lupini.

Maruzza si tappava le orecchie colle mani per non