Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 52 — |
— Volevo scommettere dodici tarì che non è tutt’oro quello che luccica, andava dicendo; e mostrava ad ognuno il pezzo da cinque lire nuovo.
Ei sapeva che sulla casa c’era un censo di cinque tarì all’anno. Allora si misero a fare il conto sulle dita di quel che avrebbe potuto vendersi la casa, coll’orto, e tutto.
— Nè la casa nè la barca si possono vendere perchè ci è su la dote di Maruzza, — diceva qualchedun altro, e la gente si scaldava tanto che potevano udirli dalla camera dove stavano a piangere il morto. — Sicuro! — lasciò andare alfine don Silvestro come una bomba; — c’è l’ipoteca dotale.
Padron Cipolla, il quale aveva scambiato qualche parola con padron ’Ntoni per maritare Mena con suo figlio Brasi, scrollava il capo e non diceva altro.
— Allora, — aggiunse compare Cola, — il vero disgraziato è lo zio Crocifisso che ci perde il credito dei suoi lupini.
Tutti si voltarono verso Campana di legno il quale era venuto anche lui, per politica, e stava zitto, in un cantuccio, a veder quello che dicevano, colla bocca aperta e il naso in aria, che sembrava stesse contando quante tegole e quanti travicelli c’erano sul tetto, e volesse stimare la casa. I più curiosi allungavano il collo dall’uscio, e si ammiccavano l’un l’altro per mostrarselo a vicenda. — E’ pare l’usciere che fa il pignoramento! — sghignazzavano.
Le comari che sapevano delle chiacchiere fra padron ’Ntoni e compare Cipolla, dicevano che adesso biso-