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vano le mani vedendo la burrasca; mentre i Malavoglia diventavano bianchi e si strappavano i capelli, per quel carico di lupini che avevano preso a credenza dallo zio Crocifisso Campana di legno.
— Volete che ve la dica? — saltò su la Vespa; — la vera disgrazia è toccata allo zio Crocifisso che ha dato i lupini a credenza. «Chi fa credenza senza pegno, perde l’amico la roba e l’ingegno».
Lo zio Crocifisso se ne stava ginocchioni a piè dell’altare dell’Addolorata, con tanto di rosario in mano, e intuonava le strofette con una voce di naso che avrebbe toccato il cuore a satanasso in persona. Fra un’avemaria e l’altra si parlava del negozio dei lupini, e della Provvidenza che era in mare, e della Longa che rimaneva con cinque figliuoli.
— Al giorno d’oggi, — disse padron Cipolla, stringendosi nelle spalle, — nessuno è contento del suo stato e vuol pigliare il cielo a pugni.
— Il fatto è, — conchiuse compare Zuppiddu, — che sarà una brutta giornata pei Malavoglia.
— Per me, — aggiunse Piedipapera, — non vorrei trovarmi nella camicia di compare Bastianazzo.
La sera scese triste e fredda; di tanto in tanto soffiava un buffo di tramontana, e faceva piovere una spruzzatina d’acqua fina e cheta: una di quelle sere in cui, quando si ha la barca al sicuro, colla pancia all’asciutto sulla sabbia, si gode a vedersi fumare la pentola dinanzi, col marmocchio fra le gambe, e sentire le ciabatte della donna per la casa, dietro le spalle. I fannulloni preferivano godersi all’osteria quella domenica che prometteva di durare anche