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la guardia, meglio di come se gli avessero messo un fazzoletto sugli occhi.

Maruzza udendo suonare un’ora di notte era rientrata in casa lesta lesta, per stendere la tovaglia sul deschetto; le comari a poco a poco si erano diradate, e come il paese stesso andava addormentandosi, si udiva il mare che russava lì vicino, in fondo alla straduccia, e ogni tanto sbuffava, come uno che si volti e rivolti pel letto. Soltanto laggiù all’osteria, dove si vedeva il lumicino rosso, continuava il baccano, e si udiva il vociare di Rocco Spatu il quale faceva festa tutti i giorni.

— Compare Rocco ha il cuore contento, — disse dopo un pezzetto dalla sua finestra Alfio Mosca, che pareva non ci fosse più nessuno.

— Oh siete ancora là, compare Alfio! — rispose Mena, la quale era rimasta sul ballatoio ad aspettare il nonno.

— Sì, sono qua, comare Mena; sto qua a mangiarmi la minestra; perchè quando vi vedo tutti a tavola, col lume, mi pare di non esser tanto solo, che va via anche l’appetito.

— Non ce l’avete il cuore contento voi?

— Eh! ci vogliono tante cose per avere il cuore contento!

Mena non rispose nulla, e dopo un altro po’ di silenzio compare Alfio soggiunse:

— Domani vado alla città per un carico di sale.

— Che ci andate poi per i Morti? domandò Mena.

— Dio lo sa, quest’anno quelle quattro noci son tutte fradicie.