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a naso con don Michele, il brigadiere delle guardie doganali, il quale andava attorno colla pistola sullo stomaco, e i calzoni dentro gli stivali, in cerca di contrabbandieri: — A questi altri non glielo fanno il conto di quel che mangiano.

— Questi qui mi piacciono! — rispondeva Campana di legno: — questi qui che stanno a guardia della roba dei galantuomini mi piacciono!

— Se gli dessero l’imbeccata sarebbe della setta anche lui! — diceva fra di sè don Giammaria picchiando all’uscio di casa. — Tutti una manica di ladri! — e continuò a borbottare, col picchiatoio in mano, seguendo con occhio sospettoso i passi del brigadiere che si dileguavano nel buio, verso l’osteria, e rimuginando perchè andasse a guardarli dalla parte dell’osteria gl’interessi dei galantuomini colui!

Però compare Tino lo sapeva perchè don Michele andasse a guardare gl’interessi dei galantuomini dalla parte dell’osteria, chè ci aveva perso delle notti a stare in agguato dietro l’olmo lì vicino per scoprirlo; e soleva dire:

— Ci va per confabulare di nascosto con lo zio Santoro, il padre della Santuzza. Quelli che mangiano il pane del re devono tutti far gli sbirri, e sapere i fatti di ognuno a Trezza e dappertutto, e lo zio Santoro, così cieco com’è, che sembra un pipistrello al sole, sulla porta dell’osteria, sa tutto quello che succede in paese, e potrebbe chiamarci per nome ad uno ad uno soltanto a sentirci camminare. Ei non ci sente solo quando massaro Filippo va a recitare il rosario colla Santuzza, ed è un tesoro per fare