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spettosi, per scavare cosa stesse macchinando con quell’andatura. — Quello là ha il piede del diavolo! borbottava. — Lo zio Crocifisso si stringeva nelle spalle, e tornava a ripetere che egli era un galantuomo, e non voleva entrarci. — Padron Cipolla, un altro sciocco, un pallone di vento colui! che si lasciava abbindolare da Piedipapera.... ed anche padron ’Ntoni, ci sarebbe cascato anche lui!... Bisogna aspettarsi tutto, al giorno d’oggi!

— Chi è galantuomo bada ai fatti suoi, — ripeteva lo zio Crocifisso.

Invece compare Tino, seduto come un presidente, sugli scalini della chiesa, sputava sentenze: — Sentite a me; prima della rivoluzione era tutt’altra cosa. Adesso i pesci sono maliziati, ve lo dico io!

— No; le acciughe sentono il grecale ventiquattr’ore prima di arrivare, riprendeva padron ’Ntoni; — è sempre stato così; l’acciuga è un pesce che ha più giudizio del tonno. Ora di là del Capo dei Mulini, li scopano dal mare tutti in una volta, colle reti fitte. —

— Ve lo dico io cos’è! — ripigliò compare Fortunato. — Sono quei maledetti vapori che vanno e vengono, e battono l’acqua colle loro ruote. Cosa volete, i pesci si spaventano e non si fanno più vedere. Ecco cos’è.

Il figlio della Locca stava ad ascoltare a bocca aperta, e si grattava il capo. — Bravo! — disse poi. — Così pesci non se ne troverebbero più nemmeno a Siracusa nè a Messina, dove vanno i vapori. Invece li portano di là a quintali colla ferrovia.