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E tacquero entrambe, pensando alla festa dei Morti, dove compar Alfio andava a vendere le sue noci.
— Lo zio Crocifisso, con quell’aria di Peppinino se la mette in tasca la Vespa! ripigliava la cugina Anna.
— Questo vorrebbe lei! — rispose di botto la Zuppidda, — la Vespa non vorrebbe altro, che se la mettesse in tasca! Ella gli è sempre per casa, come il gatto, col pretesto di portargli i buoni bocconi, e il vecchio non dice di no, tanto più che non gli costa nulla. Ella lo ingrassa come un maiale, quando gli si vuol fare la festa. Ve lo dico io, la Vespa vuole entrargli in tasca!
Ognuna diceva la sua dello zio Crocifisso, il quale piagnucolava sempre, e si lamentava come Cristo in mezzo ai ladroni, e intanto aveva denari a palate, chè la Zuppidda, un giorno che il vecchio era malato, aveva vista una cassa grande così sotto il letto.
La Longa si sentiva sullo stomaco il debito delle quarant’onze dei lupini, e cambiò discorso, perchè le orecchie ci sentono anche al buio, e lo zio Crocifisso si udiva discorrere con don Giammaria, mentre passavano per la piazza, lì vicino, tanto che la Zuppidda interruppe i vituperî che stava dicendo di lui per salutarlo.
Don Silvestro rideva come una gallina, e quel modo di ridere faceva montare la mosca al naso allo speziale, il quale per altro di pazienza non ne aveva mai avuta, e la lasciava agli asini e a quelli che non volevano fare la rivoluzione un’altra volta.