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vano a chiacchierare da un uscio all’altro, colla luna, e si udiva tutto il giorno il colpettare del telaio di Sant’Agata, e le galline che chiocciavano, e la voce della Longa che aveva sempre da fare. Adesso tutto era cambiato, e quando uno se ne va dal paese, è meglio che non ci torni più, perchè la strada stessa non sembrava più quella, dacchè non c’era più quel passeggio per la Mangiacarrubbe, e don Silvestro non si faceva vedere nemmeno lui, aspettando che la Zuppidda cascasse coi suoi piedi, e lo zio Crocifisso s’era chiuso in casa a guardarsi la sua roba, o ad accapigliarsi colla Vespa, e persino non si udiva quistionar tanto nella spezieria, dacchè don Franco aveva visto la giustizia nel mostaccio, ed ora andava a rincantucciarsi per leggere il giornale, e si sfogava a pestare nel mortaio tutto il giorno per passare il tempo. Anche padron Cipolla non ci stava più a schiacciare gli scalini davanti la chiesa, dacchè aveva perso la pace.
Un bel giorno corse la notizia che padron Fortunato si maritava, perchè la sua roba non se la godesse la Mangiacarrubbe, alla barba di lui; per questo non ci stava più a schiacciare i scalini, e si pigliava la Zuppidda. — E mi diceva che il matrimonio è come una trappola di topi! — andava brontolando allora lo zio Crocifisso. — Ora state a fidarvi degli uomini?
Le ragazze invidiose dicevano che la Barbara sposava suo nonno. Ma la gente di proposito, come Peppi Naso, e Piedipapera, ed anche don Franco, mormoravano. — Questa l’ha vinta comare Venera