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tassero i denari messi sotto la materassa, e se li vedeva squagliare a poco a poco, borbottava: — Almeno se non ci fossi io non spendereste tanto. Ora non ho più niente da far qui, e potrei andarmene.
Don Ciccio, il quale veniva a tastargli il polso, confermava che era meglio lo portassero all’ospedale, perchè lì dov’era si mangiava la carne sua e quella degli altri, senza utile. Intanto il poveraccio stava a vedere quello che dicessero gli altri, cogli occhi spenti, e aveva paura che lo mandassero all’albergo. Alessi non voleva sentirne parlare di mandarlo all’albergo, e diceva che finchè ci era del pane, ce n’era per tutti; e la Mena, dall’altra parte, diceva di no anch’essa, e lo conduceva al sole, nelle belle giornate, e si metteva accanto a lui colla conocchia, a raccontargli delle fiabe, come ai bambini, e a filare, quando non aveva da andare al lavatoio. Gli parlava pure di quel che avrebbero fatto quando arrivava un po’ di provvidenza, per fargli allargare il cuore; gli diceva che avrebbero comprato un vitellino a San Sebastiano, ed ella bastava a procurargli l’erba e il mangime per l’inverno. A maggio si sarebbe venduto con guadagno; e gli faceva vedere pure le nidiate di pulcini che aveva messo, e venivano a pigolare davanti ai loro piedi, al sole, starnazzando nella polvere della strada. Coi denari dei pulcini avrebbe anche comperato un maiale, per non perdere le buccie dei fichidindia, e l’acqua che serviva a cuocere la minestra, e a fin d’anno sarebbe stato come aver messo dei soldi nel salvadanaio. Il vecchio, colle mani sul bastone, approvava