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Padron Fortunato stette un po’ a fregarsi il mento, e poi si lasciò andare: — Il matrimonio è come una trappola di topi; quelli che son dentro vorrebbero uscirne, e gli altri ci girano intorno per entrarvi.

— A me mi sembrano pazzi! Vedete don Silvestro, cosa gli manca? e s’è messo in testa di far cascare la Zuppidda coi suoi piedi, vanno dicendo; e se comare Venera non trova di meglio, bisogna che la lasci cascare.

Padron Cipolla continuò a fregarsi il mento e non disse altro. — Sentite, compare Alfio, — seguitò Campana di legno, — fatemelo conchiudere quel negozio della casa coi Malavoglia, finchè ci hanno quei soldi, che vi regalerò poi da comprarvi le scarpe, per i passi che farete.

Compare Alfio tornò a parlare ai Malavoglia; ma padron ’Ntoni ora scuoteva il capo, e diceva di no. — Adesso della casa non abbiamo che farne, perchè Mena non si può più maritare, e dei Malavoglia non ci è nessuno! Io ci sono ancora perchè gli sfortunati hanno i giorni lunghi. Ma quando avrò chiuso gli occhi Alessi piglierà la Nunziata e se ne andrà via dal paese.

Anch’egli stava per andarsene. Il più del tempo lo passava in letto, come un gambero sotto i ciottoli, abbaiando peggio di un cane: — Cosa ci ho a far qui io? — balbettava; e gli pareva di rubare la minestra che gli davano. Invano Alessi e la Mena cercavano di dissuaderlo. E’ rispondeva che rubava loro il tempo e la minestra, e voleva che gli con-