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usciva dall’altra porticina anche lui, pallido, in mezzo ai carabinieri, ammanettato come un Cristo.

La gnà Grazia si mise a correre verso il paese, e arrivò prima degli altri, con tanto di lingua fuori, perchè la malanuova la porta l’uccello. Appena vide Lia la quale aspettava sull’uscio, come un’anima del purgatorio, le disse prendendole le mani, e tutta sottosopra anche lei.

— Cosa avete fatto, scellerata! che al giudice hanno detto che ve l’intendete con don Michele, e a vostro nonno gli è venuto un accidente!

Lia non disse nulla, come non avesse udito, o non gliene importasse niente. Rimase a guardarla cogli occhi sbarrati e la bocca aperta. Infine adagio adagio cadde sulla sedia, e parve che le avessero rotto le gambe in un colpo. Poi, dopo che fu stata un gran pezzo a quel modo, senza muoversi e senza dire una parola, che comare Grazia le gettava l’acqua sulla faccia, cominciò a balbettare: — Voglio andarmene! non voglio starci più qui! — e l’andava dicendo al canterano, e alle seggiole, come una pazza, che invano sua sorella le andava dietro piangendo, — Te l’aveva detto! te l’aveva detto! — e cercava di afferrarla un’altra volta per le mani. La sera, come portarono il nonno sul carro, e Mena era corsa ad incontrarlo, che oramai non si vergognava più della gente, Lia uscì nel cortile e poscia nella strada, e se ne andò davvero, e nessuno la vide più.