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di che vivere. Guardate la Nunziata, ora ella ha più giudizio di una vecchietta, e si aiuta a tirar su quei piccini che pare li abbia fatti lei.

— E dove è la Nunziata che non si vede ancora? — domandò la Longa a un mucchio di monelli cenciosi, messi a piagnucolare sulla soglia della casuccia lì di faccia, i quali al sentir parlare della sorella alzarono gli strilli in coro.

— L’ho vista che andava sulla sciara a fare due fasci di ginestre, e c’era pure vostro figlio Alessio che l’accompagnava, — rispose la cugina Anna.

I bambini stettero a sentire, e poi si rimisero a pigolare tutti in una volta, e il più grandicello, appollaiato su di un gran sasso, rispose dopo un pezzetto:

— Non lo so dov’è.

Le vicine avevano fatto come le lumache quando piove, e lungo la straduccia non si udiva che un continuo chiacchierio da un uscio all’altro. Persino la finestra di compare Alfio Mosca, quello del carro dell’asino, era aperta, e ne usciva un gran fumo di ginestre. La Mena aveva lasciato il telaio e s’era affacciata al ballatoio anch’essa.

— Oh! sant’Agata! — esclamarono le vicine; e tutte le facevano festa.

— Che non ci pensate a maritar la vostra Mena? — chiedeva sottovoce la Zuppidda a comare Maruzza. — Oramai deve compire diciotto anni a Pasqua, lo so perchè è nata l’anno del terremoto, come mia figlia Barbara. Chi vuol pigliarsi mia figlia Barbara, prima deve piacere a me.