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glia avesse fatto tutte quelle birbonate. Il presidente era andato a scavarle fuori per cacciare nei guai un povero figliuolo, poichè questo era il suo mestiere. Ma infine come poteva dirlo il presidente? L’aveva visto lui forse ’Ntoni Malavoglia quella notte, col buio che faceva? «Alla casa del povero ognuno ha ragione» e «La forca è fatta pel disgraziato». Il presidente senza darsene per inteso lo guardava cogli occhiali, e i gomiti appoggiati sui libracci. Il dottor Scipione tornava a dire che voleva sapere dov’era il contrabbando! e da quando in qua un galantuomo non potesse andare a spasso all’ora che gli pareva e piaceva, massime se ci aveva un po’ di vino in testa, per smaltirlo. Padron ’Ntoni allora affermava col capo, e diceva di sì! di sì! colle lagrime negli occhi, chè avrebbe abbracciato in quel momento l’avvocato il quale diceva che ’Ntoni era un ubbriacone. Ad un tratto rizzò il capo. Questa era buona! questa che diceva l’avvocato valeva da sola cinquanta lire: diceva che poichè volevano metterlo colle spalle al muro, e volevano provargli come quattro e quattr’otto che ’Ntoni l’avevano acchiappato proprio sul fatto, col coltello in mano, e gli avevano portato don Michele là davanti, colla faccia da minchione per tanto di coltellata che s’era presa nello stomaco: — Chi dice che gliel’ha data ’Ntoni Malavoglia? — predicava l’avvocato. — Chi lo può provare? e chi lo sa se don Michele non se l’era data da sè la coltellata, apposta per mandare in galera ’Ntoni Malavoglia? Ebbene volevano saperlo? Il contrabbando non ci entrava proprio per nulla!